Noi non abbiamo colpaMarta Zura-Puntaroni
Minimum Fax
In libreria dal 27 agosto
Minimum Fax
In libreria dal 27 agosto
NOI NON ABBIAMO COLPA
È difficile parlare di questo libro tenendo la giusta distanza. Ci sono troppe coincidenze, troppi elementi in comune, che mi hanno fatto sentire coinvolta fin dalla copertina.
Io e l’autrice siamo più o meno coetanee, anche io sono scappata da un paesino per approdare in città, anche io ho avuto una nonna malata di Alzhaimer. Anche io mi chiamo Marta.
L’ho letto il primo giorno di vacanza, mentre facevo tappa nella prima delle otto regioni che avrei visitato, le Marche, e citando l’incipit della quarta di copertina: “Marta ritorna nelle Marche”. Quando a pagina 53 si cita una Citroen Saxo grigia ho iniziato a inquietarmi, dato che è la mia auto. Capirete dunque che è difficile fare un passo indietro ed essere imparziali, ma ci provo.
Non avete davanti un romanzo di trama, ma di dettagli e di riflessioni. È un romanzo di quotidianità, di ricordi e di domande. Marta, la protagonista, ritorna nel suo paesino natale per supportare la madre nell’assistenza della nonna malata. Questo riassunto è l’intreccio stesso, non accade molto altro, perché a prevalere nella storia è la parte introspettiva, autoriflessiva, piuttosto che una trama d’azione marcata e forte. Come mi ha insegnato Michele Vaccari durante un corso di editing, un romanzo deve avere universalità, competenza, contemporaneità e consapevolezza e vi posso assicurare che questi elementi ci sono tutti e ben mescolati. Un plauso particolare anche alla lingua, che sa ricamare la semplicità della vita quotidiana senza essere mero esercizio di stile.
All’inizio credevo che Carlantonia fosse un misterioso reperto, composto di pietra friabile, dalla geologia oscura: un fossile di fattura umana creato dall’interno verso l’esterno, uno strato dopo l’altro, una sequenza di colori e spessori, i pochi anni di gioia in toni brillanti, le stagioni della tristezza che baluginano grigiastre e si asciugano sulle tinte precedenti.
Ci sono immagini poetiche, inserite in silenzio tra il sarcasmo, in grado di mostrarci l’astrattezza della memoria, l’incertezza del futuro, la nostalgia dell’infanzia. In quello che sembra un diario emergono parentesi di fiaba, descrizioni scientifiche, grandi interrogativi sullo spazio e sul tempo. È in fin dei conti un romanzo di temi universali che, sono sicurissima, vi trascinerà nella lettura. Anche se non vi chiamate Marta e non avete una Saxo grigia.
I pesci non esistono
Lulu Miller
Add editore
In libreria dal 5 agosto
I PESCI NON ESISTONO
Arrivata in Puglia, mi sono piazzata sotto all’ombrellone e con il rumore delle onde nelle orecchie ho iniziato a leggere questo libro su cui avevo altissime aspettative. Tutte magistralmente rispettate. Adoro i saggi “romanzati”, capaci di essere al contempo biografia, memoir, giallo. Leggere questo libro è stato come fare dei respiri profondi e sentire i polmoni riempirsi di qualcosa più grande di me, di noi tutti. È stata una tempesta, di emozioni e pensieri.
Di cosa parla? La risposta facile è che si tratta della biografia di David Starr Jordan, un famoso tassonomista del XIX secolo. Ma è una risposta altamente riduttiva, dato che la carriera controversa di questo scienziato è il pretesto per interrogarsi sul senso della vita, che sia quella dell’intera umanità o quella quotidiana di ciascuno di noi. Come si possa essere allo stesso tempo grandi e piccoli, singolari e universali, io non so dirlo, ma l’opera di Lulu Miller ci riesce con un’ironia e un’intensità grandiose.
[…] non so più per quale motivo, domandai a papà: «Qual è il senso della vita?». […]
Mio padre staccò subito dal binocolo un sopracciglio nero. Poi si rivolse a me e sorridendo disse: «La vita non ha senso». […]
Poi mi diede un buffetto sulla testa.
Non riesco a immaginare la mia espressione in quel momento. Livida? Era come se avessero strappato dal mondo un enorme piumone imbottito.
Ero a pochi passi dal loro habitat, il mare, e leggevo di come i pesci, in realtà, non esistono. Una scoperta per me scioccante, come molte altre fatte durante la lettura. Le pagine mi hanno prima coccolata raccontandomi delle specie, di ordine e catalogazione, di Darwin (di cui sono una grandissima fan). Poi si sono fatte man mano più inquietanti, fino a mostrarmi in tutto il suo terrore la teoria eugenetica negli Stati Uniti. E poi mi hanno dato il colpo finale, spiegando il titolo. Ecco cosa ti fa questo libro: ti rivolta come un calzino, ti lancia nella lavatrice, e quando ne esci centrifugato sei stordito, commosso, ma con una nuova e brillante consapevolezza addosso.
La figlia unica
Guadalupe Nettel
La Nuova Frontiera
In libreria dal 3 settembre
LA FIGLIA UNICA
La mia vacanza si è chiusa con il nuovo libro di Guadalupe Nettel, che troverete in libreria dal 3 settembre. L’editore ci ha inviato una copia staffetta a luglio e quando sulla quarta di copertina ho letto che La figlia unica è “uno sguardo penetrante sui diversi modi in cui le donne si confrontano con la maternità e su come le loro scelte ne modellano l’esistenza” sono rimasta davvero molto perplessa e non ero minimamente tentata di iniziare la lettura.
Per fortuna non mi fido delle quarte di copertina.
Questo romanzo è davvero molto di più. La maternità è sicuramente un tema centrale, che sa poi snodarsi in molte sfaccettature: dalla violenza di genere ai mille modi di fare famiglia, dall’amicizia all’amore, dalla vita alla morte. L’autrice è messicana e il suo paese si sente tutto tra le pagine, dai cibi alle tradizioni…al femminicidio. In Messico vengono uccise in media ogni giorno 10 donne, solo nei primi 9 mesi del 2019 ne sono state assassinate 2.833.
Il femminismo trapela nella storia in modo mai urlato, a volte ironico, con uno stile misurato che è tipico della Nettel.
Nel pomeriggio siamo andate insieme alla Cineteca, dove proiettavano un film di Isabel Coixet.
«Non ti sembra patetico?» Mi ha fatto notare Doris. «Oggi c’è un ciclo di cinema iraniano, uno di film noir e uno di registe donne, come se il genere femminile fosse un paese o uno stato mentale. Le donne non fanno cinema noir?»
Ho conosciuto il lavoro di questa autrice lo scorso anno, quando ho letto la raccolta di racconti Bestiario sentimentale per un corso di scrittura che stavo seguendo. Ci siamo tutti trovati d’accordo nel definire la sua scrittura pacata, riconoscendo che si può essere potenti senza essere esagerati. Questo stile si conferma anche in questo suo romanzo, dove si riconoscono anche altri punti di incontro con la raccolta citata, soprattutto per quanto riguarda il continuo rimando al mondo animale, specchio di ciò che accade agli esseri umani.
Nella pacatezza e nella scrittura controllata dei racconti spesso brevi frasi portavano un cambio di prospettiva, un dettaglio rivelatore, uno scarto rispetto alla narrazione. Stavolta queste fitte sono nella trama stessa. Se nei racconti il montaggio non presentava grandi colpi di scena, qui si gioca molto su avvenimenti inaspettati, forti, all’estremo, che stravolgono e disattendono le speranze. Oscillazioni nei fatti che riflettono le nostre difficoltà nel gestire le delusioni della vita, altro tema molto presente nella storia.
Prendetevi il vostro tempo e immergetevi nella lettura di un romanzo pieno nella sua essenzialità.