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Capacità vitale di Francesca Scotti

Francesca Scotti ci parla del suo ultimo libro – Capacità vitale (Bompiani) – in dialogo con la lettrice e scrittrice Valentina Berengo.
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Cominciamo da lontano: Francesca, come sei diventata scrittrice?

Un pochino per caso a dire la verità. Io scrivo dal 2011-12, avevo scritto dei racconti un po’ incoraggiata da un amico scrittore – Martino Gozzi, che all’epoca era uno scrittore esordiente – che mi disse che secondo lui per come scrivevo e per l’immaginario che avevo, dovevo provare a scrivere qualche racconto.
Li ho scritti e poi li abbiamo sistemati insieme, durante lunghe chiacchierate e letture telefoniche. É stato lui a darmi il nome di Italic Pequod, piccolo editore marchigiano con cui poi quella raccolta di racconti è stata pubblicata con il titolo “Qualcosa di simile”.

Quel libro è stato una specie di miracolo, perché l’editore era piccolo e aveva anche un po’ messo le mani avanti trattandosi di racconti.

Io fortunatamente avevo zero aspettative perché quel era un po’ nato per gioco, sull’onda della mia voglia di comunicare, e il libro poi in realtà è andato molto bene perché è stato selezionato al Festivalletteratura di Mantova, poi mi ha portata al Festival di Hay (Galles), a Berlino…insomma ha fatto un miracolo, e io mi sono detta “beh allora continuo”!

Nella tua scrittura si riconosce una predisposizione al racconto, un “passo breve”. Ce l’hai per sottrazione o ti viene naturale?

La misura più nelle mie corde è sicuramente quella del racconto. Fosse per me io scriverei sempre racconti e anzi continuo a scriverne e ad infilarli dove posso, collaborando con riviste etc.
Purtroppo è un mercato ancora più sofferente del romanzo, ma Bompiani sa che se mai volessero pubblicare una raccolta di racconti io sono già pronta!

Ci sono anche volte in cui l’editore riconosce in un racconto la benzina per diventare un romanzo.
È stato così per Ellissi (Bompiani 2017) e anche altre volte mi è capitato che mi dicessero “questi racconti sono romanzi”.
Ma vuoi mettere la bellezza di fare un carotaggio, il fascino di stare in una dimensione piccola?

Francesca Scotti

Parliamo della lingua. Hai una lingua che sembra riassumere tutti i modi in cui ci si può esprimere: sei lieve, serena, descrittiva, ma al contempo pregna, concisa…che tipo di ricerca fai?

La verità è che taglio tanto e leggo tutto ad alta voce, seguo il mio orecchio. In questo caso penso che la musica mi abbia aiutata (Francesca Scotti è diplomata in conservatorio ndr).
Faccio molto lavoro di rilettura ma non lavoro da sola, questo è sempre bene dirlo, ho un editor che mi aiuta e mi fa notare cose che mi erano sfuggite.

In Capacità Vitale per esempio, nelle fasi di rilettura e analisi del lessico ci siamo accorti che il mio sguardo andava a finire o partiva sempre dal basso: c’erano un sacco di piedi, di scarpe, di calze…e lì ho lavorato da sola per – letteralmente – alzare un po’ la testa.

L’editor ti ha accompagnata anche durante la scrittura?

No, nel mio caso – e in questo caso – il lavoro con l’editor comincia a libro montato libro montato, scelto e finito. A quel punto l’editor ti fa notare altre cose, per esempio ti dice “Guarda che deglutiscono sessanta volte in questo romanzo, che si fa? La lasciamo o la cambiamo questa cosa?”.

Il punto di vista dell’editor è fondamentale, lo dico serenamente, è bello che i libri siano un prodotto di tanti occhi e tante voci.

In Ellissi mi ricordo che Beatrice Masini mi disse “Non so se ti sei accorta, ma in tutto il romanzo ci sono solo tre colori: il bianco, il giallo e il blu”.
Che poi di per se non è sbagliato, magari ha un preciso significato, ma è una benedizione avere altre persone a darti nuove chiavi di lettura e di lavoro, è un processo che ti porta ad interrogarti e a migliorare perché pian piano assorbi anche tu quegli sguardi.

Ti dai delle precise regole nello scrivere? Hai una tecnica personale e precisa?

No, non ho fatto alcuna scuola di scrittura e non ho un metodo o una tecnica collaudata da applicare. Quello che so è che voglio che le mie pagine suonino in un certo modo.
Oltre a questo provo a vedere tutto quando leggo – anche cose che non ho scritto io – e quando scrivo.

Le scene le vedo, le provo. Al di la della continuità, che bisogna mantenere – per cui se uno ha un giaccone quel giaccone deve essere da qualche parte – mi piace che ci sia verosimiglianza.

Anche guardare è importantissimo. Quando vado in giro io guardo il mondo e lo filtro attraverso l’osservazione di una serie di dettagli che poi mi aiutano a creare una scena.
Per esempio mi è molto facile raccontare i personaggi attraverso quello che fanno a tavola, attraverso il cibo. Secondo me per raccontare le relazioni, le luci, le ombre, le nevrosi… il potere del cibo è grandissimo. Per questo mi piace mettere le relazioni a tavola, mi sembra che parlino più facilmente.

Ma raccontaci perché in questo libro, oltre al mare, l’acqua, le immersioni…ci sono i maiali.

I maiali sono il versante opposto dell’acqua, sono la terra, radicati al suolo, alla materia, alla pesantezza, però in questo caso sono anche un animale sacrificale, e l’emblema dell’abuso: un animale che si sporca e soffre per un desiderio umano.

Nella storia mi servivano come contrappeso a tutta la dimensione legata all’acqua, che ha invece una natura purificatrice.

Per Adele, la protagonista, i maiali sono anche un elemento di confronto: noi vediamo come cambia lei in base a come cambia il suo rapporto con loro.

Parliamo di lei: Adele. Adele è una persona che vive con una ferita, almeno questa è l’impressione che dà.

Proprio così. Adele ha una ferita profonda ma l’ha ricoperta con una corazza, si è cucita addosso un personaggio di successo, che aderisce al modello dell’avvocato senza scrupoli, distaccato.
É una donna realizzata che sembra solida.
Sembra.

La cosa che le succede ha un impatto così grande perché riapre una ferita, e le ferite non sono solo un taglio che fa uscire, che spurga… da quell’incisione può entrare qualcosa che ti può intaccare anche molto positivamente.

Adele sembra possedere due parti distinte e indissolubili insieme: una più sensibile e sensitiva, e una più razionale. Queste due parti come convivono?

Faticosamente, come possono convivere all’interno di una persona che non è risolta. Convivere con una parte sensitiva è molto faticoso, e Adele ha cercato in qualche modo di mettere a riposo quella parte. Poi le accade che la vita la costringe a recuperare e prendersi cura di questa qualità che ha tentato di soffocare.

Valentina Berengo

Hai già un’idea nuova per un prossimo libro? stai già scrivendo?

Io scrivo sempre – racconti – perché scrivere per me è anche un modo per interrogare la realtà, un modo per fissare ricordi.
Ho in testa dei temi di cui mi piacerebbe parlare: le famiglie, le dinamiche che vi si creano, le relazioni umane… ma mi interessa anche quello che sta accadendo al pianeta, l’impatto umano sull’ambiente…

“Capacità vitale” perchè?

La capacità vitale allude all’energia vitale dentro ad ognuno di noi, che a volte viene riaccesa da una disgrazia, ma è anche, tecnicamente, la massima quantità d’aria che possiamo tenere nei polmoni in un singolo respiro.

Capacità vitale
di Francesca Scotti
(Bompiani)